Dall’infanzia, ai primordi della vita la nota dolce ci accompagna in un’odorosa regressione tra piaceri e inquietudini sensoriali
Tra aprile e giugno, abbiamo il momento di massimo splendore della Wisteria floribunda, detta Blauregen in tedesco perché i suoi fiori scendono a grappoli dai rami come fossero tante gocce di pioggia. Da noi è chiamata Glicine ed è apprezzata per la sua bellezza e per il profumo delle inflorescenze. Ha il potere di trasportarci in un’immaginaria atmosfera Liberty tra vetri delle lampade Tiffany e lontani echi di giardini segreti. Il suo nome è già poesia. Glicine deriva dal greco γλυκύς e significa «dolce». Un sapore che si riflette anche nella sua fragranza, in cui sono evidenti le note evanescenti dell’alcol feniletilico, una sostanza che ricorda il profumo dell’acqua di rose. Quello della wisteria non è un odore esuberante come quello del gelsomino, bensì atmosferico. È come un velo leggero che ci accarezza quando soffia un po’ di vento. Pier Paolo Pasolini, che dedica una dolorosa poesia al profumo primaverile di questo fiore, lo definisce furia della natura, dolcissima. Così come dolce è, per il poeta, la sua tinta pallida.
La dolcezza è insomma un attributo di questa pianta e soprattutto dei suoi fiori. La dolcezza, è una qualità che accomuna molte sostanze indispensabili alla vita. Come il glucosio, fonte d’energia per gli organismi viventi, e come la glicina, il più semplice amminoacido che costituisce le proteine, considerato dagli scienziati il primo mattone della vita.
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