Di Bene in Bello: conflitti e aspirazioni del profumo naturale
Nel 1987 Clarins lanciava l’Eau Dynamisante, un profumo definito “aroma-fitotrattamento” con estratti attivi di piante nella propria formula. Si tratta di uno dei pochi esempi di profumi alcolici che hanno sfruttato con successo un “claim funzionale”, puntando quindi non solo a piacere, ma anche a generare benessere grazie all’impiego di costituenti attivi.
Siamo soliti associare il profumo alla seduzione e all’apparenza. Ma siamo anche propensi a credere che ci sia dell’altro. Che un profumo possa avere un effetto su di noi di tipo fisico e psicologico.
Di certo sappiamo che gli odori orientano il nostro comportamento, ci fidiamo delle persone che profumano bene e in presenza degli odori piacevoli tendiamo ad allentare le nostre difese. Questo perché, in modo più o meno consapevole, crediamo che il “bello” porti con sé anche il “buono”.
Quando poi gli ingredienti di un profumo sono gli stessi usati in fitocosmesi o fitoterapia (oli essenziali), viene spontaneo pensare che spruzzandolo possiamo trarne beneficio. Peccato che la profumeria alcolica moderna nasca proprio dal divorzio tra il bene e il bello.
A forza di editti e di leggi, questi due valori sono oggi espressi da professioni distinte che sviluppano prodotti differenti: da un lato la cosmesi si occupa di ciò che è destinato a piacere, dall’altro la farmaceutica ha il monopolio su ciò che fa bene.
Ancora per tutto l’Ottocento i profumi potevano far leva sulle loro, più o meno fondate, proprietà curative.
L’Acqua di Colonia, per esempio, oltre che gradevolissima vantava, tra le tante virtù, una funzione anti-scorbuto. Oggi sappiamo che questo era dovuto all’alto contenuto di acido ascorbico presente negli agrumi.
Ma nel corso del Novecento, i profumi vengono epurati da qualsiasi residuale richiamo alla farmacopea, per diventare in tutto per tutto beni voluttuari. Addio acque curative, addio elisir di lunga vita, addio pomate miracolose. I prodotti effimeri e quelli curativi fanno ormai parte di due mondi distinti: da un lato la cosmesi che si occupa dell’apparire, dall’altro la farmacologia che ha il monopolio sulla cura.
Ma questa separazione non trova sempre riscontro nel nostro sentimento, né nella nostra propensione a creare ponti e ascensori tra ambiti che la ragione si sforza di allontanare.
Quando annusiamo a occhi chiusi, per prima cosa ci chiediamo che cosa stiamo sentendo. Nell’immediato non ci interessa apprezzare le diverse qualità estetiche di un odore. Vogliamo sapere la sua origine, probabilmente perché l’olfatto ha una funzione primaria di proteggerci dall’inalazione o ingestione di sostanze potenzialmente nocive che dobbiamo quindi riconoscere.
Così, ci rassicura sapere che le fragranze contengono materie prime naturali, e quindi familiari, piuttosto che prodotte in laboratorio. Ci piace consultare le piramidi olfattive che ci aiutano a dare un nome alle nostre percezioni, che quasi sempre corrispondono a fiori, radici, legni, spezie.
Il legame tra profumi e natura sembra quasi imprescindibile. Persino quando le fragranze sono composte con materie di sintesi, i riferimenti alla natura non mancano quasi mai. Non solo i nomi dei profumi e le loro piramidi olfattive si rifanno al mondo vegetale, ma le aziende investono ingenti cifre per convincerci che nei loro prodotti confluiscono petali di fiori raccolti a mano in Provenza da contadini dall’animo gentile.
Il profumo naturale risponde a un bisogno, più o meno latente, di ricomporre la frattura
tra bene e bello.
La natura è una grande alleata del profumo perché arricchisce le sue qualità estetiche di virtù percepite come positive. Inoltre la naturalezza contribuisce a moralizzare il profumo perché, nell’immaginario comune, la vita contadina è depositaria di autenticità, saggezza, semplicità.
Insomma, il profumo che si professa “naturale” risponde a un bisogno, più o meno latente, di ricomporre quella frattura tra bene e bello che si è prodotta nella modernità.
Nulla ci appare più forzato della presunta neutralità delle fragranze. Questi prodotti ci vengono offerti oggi “disattivati” da ogni potenziale tossico. Ma eliminando il male, non ci sarà anche l’implicita negazione del bene che una fragranza può generare?
La scelta di usare solo materie prime di origine botanica, combacia spesso con una maggior trasparenza nella formulazione.
Molte persone non si rassegnano all’idea che i profumi siano solo cose carine e amorfe da spruzzarsi addosso. Anche se razionalmente siamo convinti dell’utilità e delle necessità di separare il farmaco dal cosmetico, intimamente vogliamo credere che la bellezza sia anche benefica. Che i profumi siano pozioni in grado di trasformarci non solo in persone più belle, ma anche migliori.
In questi anni ho visto e continuo a vedere tante persone esperte in aromaterapia che si avvicinano ai corsi di profumeria di Smell Atelier con l’idea di poter creare fragranze che siano belle e allo stesso tempo capaci di offrire benessere e cura.
Se il richiamo alla natura nei profumi corrisponde spesso a una forma di evasione, di sogno, di fuga dal reale (vedi la linea The Ancient Apothecary di Gucci), c’è anche una autentica profumeria naturale che ha preso piede soprattutto negli Stati Uniti, ma che è ben rappresentata anche in Europa e in Italia. Sono produzioni di nicchia in cui la scelta di usare solo materie prime di origine botanica combacia spesso con una maggior trasparenza nella formulazione, e con la ricerca di una filiera etica, rispettosa dell’ambiente.
Questo tipo di profumeria accarezza l’idea romantica di imbottigliare i prodotti del proprio giardino. Abbraccia anche il sogno di un lavoro non alienato, in cui le persone realizzano se stesse. Aspira a manifestare un tipo di bellezza che nasce dalle idee e anche da una tensione etica. Una bellezza che non finge di essere neutra e quindi indifferente rispetto al problema del bene e del male.
Una bellezza che è tale, perché prende posizione.
LA NATURA DEL PROFUMO
Il corso di profumeria di Smell Atelier.
Inizio 3 ottobre 2020. Iscrizioni aperte.
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