Come un filo d’Arianna gli odori ci accompagnano tra sentieri che si biforcano, al centro di un enigma esistenziale e olfattivo.

Il labirinto è un luogo tutt’altro che rassicurante. In chiave simbolica, rappresenta la non linearità dei nostri percorsi di vita, la complessa ricerca di un senso all’esistenza, il viaggio eroico alla scoperta di noi stessi. Il labirinto è anche metafora per eccellenza della narrazione. Alla sua struttura si è ispirato Jorge Luis Borges nel racconto Il Giardino dei sentieri che si biforcano e poi Italo Calvino con il romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore, testi che riflettono il pensiero postmoderno. Non rimase estraneo al suo fascino Umberto Eco che pose una labirintica biblioteca al centro del suo più celebre romanzo Il nome della Rosa. Mentre l’editore Franco Maria Ricci, dopo averlo immaginato passeggiando insieme a Borges, un labirinto lo realizzò per davvero nella propria tenuta di Fontanellato dove oggi sorge il parco botanico e culturale dedicato alla sua memoria.

Se quello di Cnosso era retto da strutture in legno di cedro, i labirinti con cui noi moderni abbiamo più confidenza sono quelli di siepe che troviamo nei giardini di ville e palazzi. Sono il retaggio di una moda che si diffuse in Europa a partire dal Seicento, quando le fantasie ricciute e spiraliformi dell’epoca barocca presero la forma di verdeggianti parterre, cioè di basse siepi dalle più stravaganti forme, ma anche di veri e propri dedali in cui perdersi, evadere, sognare. È allora che negli eleganti giardini aristocratici iniziò a spandersi l’odore del bosso. Pianta resistente e longeva, con fronde sempreverdi plasmabili in diverse fogge e, soprattutto, a lenta ricrescita, il Buxus sempervirens conquista a poco a poco progettisti e committenti che vincono le iniziali resistenze dovute a una certa esalazione sgradevole che la pianta talora emette. Camminando tra le siepi siamo accolti da un odore fruttato, come di ribes nero, ma anche verde, terroso e con una nota acre identificabile volgarmente come “pipì di gatto”.

Eccoci così al cospetto del primo sentiero che si biforca nel nostro percorso: scegliamo di chiuderci il naso e tornare sui nostri passi, o lasciamo che questo odore ci conduca al livello successivo?
Proseguendo entreremo nel regno delle molecole, quei composti di grandezza nanometrica che il nostro olfatto è in grado di captare. Gli odori che reputiamo gradevoli sono generalmente formati da atomi di carbonio, idrogeno e ossigeno. Mentre quelli da cui prendiamo le distanze contengono atomi di azoto o zolfo. Nel caso del bosso è proprio quest’ultimo elemento della tavola periodica a conferire alla pianta la nota che fa arricciare i nasi più sensibili o avvicinare quelli più intrepidi.

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Immagine: Illustrazione dal Turris Babel di Athanasius-Kircher CC