Un racconto tra realtà e finzione – parte I
Abbiamo creato i segreti per stringere a noi un’idea, un amore, un sapere. Per illuderci che qualcosa ci possa appartenere per sempre. Così lottiamo tutta la vita per difendere da mille insidie un tesoro che non ci è mai davvero appartenuto. Perché tutto ciò che abbiamo di prezioso
si frantuma lungo il cammino e chi arriva dopo di noi deve solo avere la pazienza di raccogliere i pezzi sparsi sotto la sabbia del tempo per scoprire ciò che avevamo nascosto. Un calcio a una cassapanca ed ecco riaffiorare un amore clandestino. Un cigolio d’assi sotto i piedi, ed ecco un volto d’alabastro. I nostri segreti si dividono, prendono nuove strade, diventano a volte irriconoscibili, a volte si smarriscono per essere un giorno ritrovati. Pur sapendo come sarebbe andata a finire, anch’io cercai in tutti i modi di tenermi stretto quanto avevo di più prezioso. Lo conservai per secoli in cassaforte e mi identificai così tanto con la cosa che nascondevo, da divenire io stesso una specie di segreto. Paradossale a dirsi, ma per sopravvivere io e le mie formule dovevamo scomparire. Il mio nome, un tempo conosciuto, si trasformò allora in carta ammuffita dentro un polveroso archivio. La mia anima così devota al mondo, rimase sepolta in tali abissi di buio e silenzio, che persi ogni cognizione di me stesso. Fino al giorno in cui non sentii bussare con insistenza alla mia porta…
Immagine: Cartoncino Pubblicitario Acqua di Felsina, per cortesia di Museo del Risorgimento di Bologna.
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