Da Virginia Wolf a Peter Pan, profumati banchetti letterari ci parlano del lato simbolico e immaginativo del cibo
Come disse Virginia Woolf nel suo celebre romanzo Una stanza tutta per sé: «Non si può pensare bene, amare bene, dormire bene, se non si è cenato bene». E non potremmo essere più d’accordo. Il cibo infatti non è solo sostentamento, ma rappresenta un vero e proprio viaggio tra culture, epoche e paesi diversi… anche immaginari. In questo articolo il nostro biglietto di imbarco sarà il cibo e viaggeremo tra banchetti molto particolari. Iniziamo da un famoso confronto di tavolate descritto proprio dall’autrice sopra menzionata dove il cibo diventa il simbolo di una disparità di genere, a dimostrazione che un piatto non è mai soltanto un piatto.
«Il pranzo […] si aprì con le sogliole, comodamente adagiate su un piatto da portata, sulle quali il cuoco del college aveva versato un manto della salsa più bianca, benché segnata qua e là da macchie brune simili a quelle che si vedono sui fianchi della femmina del daino.»
Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf (Giulio Einaudi editore, 1995, p. 19).
L’acquolina inizia a salire? […] Questo sì che è un pranzo! Dopo aver mangiato bene e a sazietà, si possono concepire grandi idee, brillanti conversazioni o appagati silenzi. Ma a chi è riservata questa fortuna? Non certo alle studentesse dello stesso college che, in un’altra
ala aspettano… la minestra. […] Se nella prima descrizione possiamo sentire tutti i profumi di un pranzo della domenica che magari ci riporta all’infanzia, nel secondo sentiamo gli odori di un pasto fatto di fretta, anzi, di odori ne percepiamo ben pochi tanto è asettico e triste.
È meglio viaggiare con la fantasia e lasciare quel puzzolente mondo maschilista descritto da Virginia Woolf dove mangiare bene è appannaggio degli uomini colti. E quale luogo migliore dove migrare con la mente se non la famosa L’isola che non c’è?
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