Potrà sembrare arduo cercare riferimenti odorosi nella Divina Commedia se pensiamo alla centralità che il senso della vista ha nella poetica di Dante, a partire dagli esordi nell’alveo del Dolce Stil Novo fino alla visione luminosa del Paradiso. Ma un motivo della sua grandezza poetica è proprio nella capacità di accompagnarci tra baratri infernali e sfere celesti, portando questo mondo ultraterreno alla portata della comprensione umana. Traducendolo cioè in esperienza del corpo e dei sensi.

Una delle più importanti lezioni che Dante aveva appreso da Aristotele è che la nostra mente può pensare solo quello che recepisce in modo sensibile. “Solo da sensato apprende, ciò che fa poscia d’intelletto degno” fa dire a Beatrice nel Paradiso. Il poeta si serve di questa nozione in tutta la stesura della Commedia per trasformare concetti teologici e filosofici in visioni multisensoriali, destinate a imprimersi nella mente dei lettori.

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Immagine: Joseph Anton Koch, Dante nella selva trova le tre fiere e Virgilio, 1825-28 – Fonte: Wikimedia Commons