Dalla trama di racconti, romanzi e poemi in versi emerge la memoria di odori perduti legati all’arte tessile e alle sue creazioni

Nel romanzo storico La dama e l’unicorno, ambientato tra il 1490 e il 1492 nei laboratori artigiani di Bruxelles, la scrittrice americana Tracy Chevalier assegna un ruolo importante all’aura olfattiva di un personaggio chiamato Jacques Le Boeuf, di professione tintore. Spiega una delle tante voci narranti:

«Quel fetore – l’urina di pecora fermentata in cui il guado viene messe in ammollo per fissare il colore – fa si che ormai i tintori si sposino soltanto con le loro cugine.»

Un inizio olfattivo piuttosto disgustoso che sembra essere molto lontano dalla bellezza e dalla raffinatezza di un’arte molto antica, la tessitura, di cui si occupa il romanzo della Chevalier. Ma tessitura e tintura, processo indispensabile per dare colore alle fibre tessili, sono due fili della stessa trama e l’uno non esisterebbe senza l’altro. Le materie prime usate nell’antichità per tingere i tessuti erano davvero molte: lo zafferanno e la curcuma per la tonalità di giallo, l’oricello per il viola, il bitume per ottenere il nero. Il colore più costoso era senz’altro il porpora ottenuto dai molluschi come ci insegnano i Fenici. Lo sa bene Idmone di Colofone, tintore di porpora, padre della più famosa tessitrice e ricamatrice della Grecia antica: Aracne

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In copertina: La Dama dell’Olfatto (ciclo La dame à la Licorne), Musée de Cluny, Parigi