Dagli Smell Chess di Takako Saito ai libri di istruzioni di Yoko Ono, l’arte si prende gioco degli automatismi che governano la nostra esistenza. E lo fa servendosi degli odori.
Prendiamo un gioco come gli scacchi, con regole date, in cui due giocatori si sfidano. Che cosa accadrebbe se, durante la partita, il senso guida non fosse più la vista, ma l’olfatto? Ripensare gli scacchi in chiave olfattiva è stata l’idea di Takako Saito, artista legata all’ambiente Fluxus newyorkese degli anni Sessanta e Settanta. Si deve a lei la realizzazione di una «scacchiera a odori» (Smell Chess), in cui i pezzi non sono più riconoscibili attraverso la loro forma, ma grazie alle molecole che ne compongono l’identità olfattiva. A muoversi sulla scacchiera sono infatti trentadue fiale di plastica riempite con sostanze profumate. I pedoni bianchi odorano di cannella, le torri di noce moscata, i cavalli di zenzero e la regina di anice. Gli alfieri neri si distinguono per un sentore di cumino, il re nero emana effluvi di assafetida, mentre la regina nera è pericolosamente piccante perché contiene pepe di cayenna.
Con il tempo, l’opera è divenuta un multiplo d’artista e diverse sue edizioni, alcune nella variante Spice Chess, si trovano in collezioni private e pubbliche. Nel meraviglioso esemplare dell’opera conservato al MoMA e in quello appartenuto a Ben Vautier (oggi presso Fondation du doute – Ben & Fluxus), tutti gli elementi sono in legno riprendendo la tradizione giapponese legata alla costruzione di scatole segrete. Giocare su una scacchiera a odori significa non poter più contare sul colpo d’occhio con cui siamo abituati a inquadrare la posizione dei diversi pezzi e a figurarci mentalmente le loro mosse successive. Che significato può avere una simile operazione?
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Immagine di copertina: Takako Saito, Spice chess (Smell chess), 1964-1975, Collezione di Ben Vautier. Foto © Fondation du doute – Ville de Blois