Il rapporto che l’egizio aveva con la terra era sicuramente molto stretto, in particolare con il suolo vivificato dal fiume Nilo dopo ogni piena. Questo suolo, allora come oggi, è una sottile striscia di terra che solo la presenza del limo rende fertile e abitabile con continuità da più di settemila anni. Un tempo la fascia verde doveva essere ben più ampia rispetto a quella attuale, ma questo non cambia il fatto che, in epoca faraonica, l’Egitto chiamasse se stesso Kemet, cioè la Terra Nera, distinguendo il proprio territorio da Desheret, la Terra Rossa, ovvero il deserto.

La terra nera è la terra concimata, la terra grassa e nutrita che produce frutto. Dal termine kemet sappiamo che probabilmente deriva il sostantivo alchimia, dal quale proviene a sua volta la parola chimica. Dall’egizio desheret proviene invece il nostro deserto, a indicare, oggi come millenni fa, la terra non coltivabile e sterile.

La terra, che nel nostro pensiero è strettamente radicata al concetto di femminile e madre, era invece per l’uomo egizio una divinità maschile di nome Geb, distesa sulla schiena e sul cui corpo si protendeva la dea del cielo, Nut.

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Immagine di copertina: Parte del papiro funerario di Djedkhonsouefânkh (Museo Egizio del Cairo) con la raffigurazione del dio Geb e della dea Nut